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assegno per il nucleo familiare
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Cosa accade all’assegno per il nucleo familiare in caso di cessazione del rapporto di lavoro? 

L’Assegno per il Nucleo Familiare (ANF) è una prestazione economica erogata dall’INPS ai nuclei familiari di alcune categorie di lavoratori, dei titolari delle pensioni e delle prestazioni economiche previdenziali da lavoro dipendente e dei lavoratori assistiti dall’assicurazione contro la tubercolosi. È quindi un aiuto e un supporto al reddito di alcune famiglie i cui componenti fanno parte di determinare categorie di lavoratori ed ai pensionati. 

L’ANF compete in misura differenziata in rapporto al numero dei componenti il nucleo familiare ed al reddito dello stesso (art. 2 d.l. 69/88). Per reddito familiare si intende l’ammontare dei redditi complessivi di qualsiasi natura, assoggettabili all’irpef, conseguiti dai suoi componenti nell’anno solare precedente il 1° luglio di ciascun anno solare ed ha valore per la corresponsione dell’assegno fino al 30 giugno dell’anno successivo.

La normativa di riferimento è contenuta nell’ art. 2 del D.L. n. 69/88 convertito con legge n. 153/88 e, per espressa previsione al comma 3 del cennato articolo, si osservano, per quanto non previsto da tale articolo, le norme contenute nel testo unico sugli assegni familiari, approvato con D.P.R. 30 maggio 1955, n. 797, e successive modificazioni e integrazioni.

Ma cosa accade in caso di cessazione del rapporto di lavoro? 

Cessazione del rapporto di lavoro

In costanza del rapporto di lavoro, la richiesta per il pagamento dell’assegno per il nucleo familiare deve essere presentata per il tramite del datore di lavoro. A seguito dell’inoltro – oggi telematico per effetto della circolare Inps n. 45/2019 ovvero tramite i servizi on line – il diritto decorre dal primo giorno del periodo di paga in corso alla data in cui si verificano le condizioni prescritte e cessa alla fine del periodo di paga in corso alla data in cui le condizioni stesse vengono a mancare (art. 11, DPR 797/55). 

Il beneficio viene liquidato dal datore di lavoro, per conto dell’Inps, in occasione del pagamento mensile della retribuzione spettante. Ovvero viene anticipato dalla parte datorile in busta paga per poi essere recuperato da quest’ultima attraverso il modulo f24, al momento del pagamento dei contributi, trattandosi appunto di somme a carico dell’Inps. 

Diversa è l’ipotesi i cui il lavoratore non riceve il pagamento degli ANF durante il rapporto di lavoro, in quanto mai richiesti. Tale è il caso del “pagamento diretto”, ovvero il lavoratore può fare espressa richiesta all’Inps al momento della cessazione del rapporto di lavoro chiedendo la liquidazione degli stessi direttamente, per i periodi in cui non ne ha usufruito, nel rispetto del termine quinquennale di prescrizione. 

La sentenza del Tribunale di Napoli sull’assegno per il nucleo familiare

Importante sentenza del Tribunale di Napoli Nord, Sez. Lavoro e Previdenza, n.2442/2021 del 06/05/2021, a conferma di quanto statuito precedentemente anche dalla Corte d’appello di Napoli, sez. Lavoro e Previdenza con la sentenza n. 5682/2019 del 08/11/2019, riconosce il diritto alla percezione degli assegni al nucleo familiare con pagamento diretto da parte dell’Inps, unico soggetto obbligato in caso di cessazione del rapporto di lavoro.

Nel caso che ci occupa, parte ricorrente non aveva mai percepito gli assegni per il nucleo familiare da parte del datore di lavoro. Pertanto, successivamente al licenziamento, si era rivolto all’INPS per il pagamento in via diretta, presentando domanda a mezzo pec ed esponendo chiaramente di non aver mai percepito tali prestazioni.

Senonchè l’INPS, a causa di una totale omissione nella previsione della possibilità dell’inoltro attraverso i canali telematici, come da circolare Inps n. 45/2019, della domanda di pagamento diretto di ANF al di fuori dell’ipotesi di fallimento del datore di lavoro, non aveva mai provveduto né a rispondere a tale domanda né ad espletare tutte le formalità richieste per il pagamento di tali importi, non riconoscendo alcun valore all’inoltro della domanda tramite posta certificata. 

Citato in giudizio l’Inps nel costituirsi, richiamava quanto disposto dall’art. 38 del D.L. n. 78/2010 applicato all’INPS con determinazione presidenziale n. 277 del 24 giugno 2011 pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 227 del 29-09-2011, secondo cui la domanda di ANF della parte ricorrente andava presentata esclusivamente in maniera telematica.

Quanto eccepito dall’INPS non era attuabile in quanto i servizi telematici, infatti, non erano stati ancora adeguati per quest’ipotesi.  

Di conseguenza, ritenere la domanda amministrativa come mai presentata, perché fatta a mezzo pec, rappresentava una vera e propria aberrazione giuridica.

Il valore giuridico della spedizione con pec

Per quanto l’INPS potesse imporre l’utilizzo della modalità telematica, infatti, non può e non deve sfuggire il valore giuridico di una spedizione con posta elettronica certificata che, come è noto, si equivale alla raccomandata con avviso di ricevimento (raccomandata a.r.), valore per cui a tutt’oggi la pec / raccomandata AR fa piena prova della effettiva conoscenza alla pari delle più evolute e moderne forme di invio telematico. 

Non è stato infatti intaccato, dall’introduzione delle forme telematiche, il caposaldo di cui all’ art. 1335 cod. civ., in base al quale si presume nel destinatario la conoscenza di una determinata comunicazione semplicemente per essere la medesima giunta all’indirizzo di costui (Cass. Civ. Sez. Lavoro,2847/97), al quale era diretta (Cass. Civ. Sez. Unite, 5823/81; Cass. Civ. Sez. III, 4083/78). 

Nel costituirsi eccepiva, inoltre, lo svolgimento del giudizio senza il contraddittorio con il datore di lavoro, unico soggetto che avrebbe dovuto, invece, corrispondere degli adempimenti connessi alla domanda di ANF ed unico soggetto a cui andava inoltrata la domanda per il pagamento degli assegni per il nucleo familiare. Completamente dimenticando tutta la normativa esistente nonché le sue stesse circolari in materia secondo cui, come detto sopra, gli ANF vengono anticipati in busta paga, quando sono stati richiesti durante il rapporto di lavoro; mentre per i rapporti di lavoro non più in essere, vengono richiesti direttamente all’INPS.

L’Istituto, pertanto, non poteva assurdamente sostenere che il datore di lavoro fosse l’unico soggetto tenuto alla corresponsione degli adempimenti connessi alla domanda di ANF oltre che l’unico soggetto a cui la domanda doveva essere indirizzata. 

La decisione del Tribunale

Nonostante la difesa svolta dall’Inps, il Tribunale di Napoli Nord con la sentenza n. 2442/2021 del 06/05/2021, ritenendo valida la modalità di inoltro a mezzo pec della domanda, ha riconosciuto pienamente il diritto del lavoratore alla percezione dell’assegno per il nucleo familiare attraverso un pagamento diretto di tali somme da parte dell’Inps delineando quest’ultimo come “unico soggetto obbligato”. 

Nonostante ciò, ancora oggi l’Inps rimanga inadempiente nel prevedere la possibilità di inoltro della relativa domanda attraverso i servizi telematici previsti, ipotesi a tutt’oggi prevista solo nel caso di fallimento del datore di lavoro.  

 

Avv. Silvana Vespa

Dipartimento legale Opera Ltb

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Le somme erroneamente erogate dall’INPS non vanno restituite

Può accadere che l’INPS richieda la restituzione di prestazioni previdenziali o assistenziali arretrate erroneamente corrisposte. In questi casi si parla di “indebito”, cioè di somme erogate per errore che, in virtù della norma generale di cui all’articolo 2033 del Codice civile, andrebbero restituite. Esiste però una specifica normativa di settore che sancisce l’irripetibilità delle somme pur erroneamente versate, purchè non vi sia stato dolo da parte dell’interessato.

Sappiamo che l’articolo 13, comma 2, della legge n. 412/1991, impone all’Inps di procedere annualmente alla verifica delle situazioni reddituali dei pensionati incidenti sulla misura o sul diritto alle prestazioni pensionistiche. E a provvedere, entro l’anno successivo, al recupero di quanto eventualmente pagato in eccedenza.

Cosa accade quindi alle somme di denaro erroneamente erogate dall’Inps? Vi forniamo un caso, a titolo puramente esemplificativo, per spiegarvi cosa accade in concreto in questi casi.

Il caso del Tribunale di Napoli

Con ricorso depositato in data 05/03/2020 dinanzi al Tribunale di Napoli la ricorrente, in quanto titolare di assegno sociale ex art. 6 Legge n. 335/95, esponeva che, a seguito di inoltro in data 26-11-2018 di domanda di ricostituzione reddituale, avente ad oggetto i redditi anno 2016, anno 2017 nonché anno 2018 l’Inps, nonostante con comunicazione del 14/12/2018, non rilevava la presenza di somme a debito o a credito fino al 31 gennaio 2019. Nel contempo, in data 02/07/2019, comunicava a parte ricorrente l’esistenza a suo carico di un debito pari ad € 1.951,04 per aver ricevuto somme non spettanti a titolo di assegno sociale nell’anno 2016.

Nella memoria di costituzione, parte convenuta motivava l’operata trattenuta con una indebita percezione da parte della ricorrente di somme a titolo di assegno sociale nell’anno 2016, a causa di superamento dei limiti reddituali, stante la liquidazione al coniuge nel giugno 2017 di somme a titolo di arretrati ex L. 448/2001. Secondo l’Inps tale trattenuta veniva ad essere pienamente legittima ai sensi dell’art. 2033 c.c. in quanto somme percepite indebitamente e pertanto soggette a ripetizione.

Tale normativa posta a fondamento del comportamento illegittimo dell’Ente previdenziale non trova applicazione nella fattispecie in oggetto in quanto l’indebito assistenziale non soggiace alla disciplina dell’indebito civilistico ex art. 2033 c.c.., principio ormai consolidato in giurisprudenza, e confermato dalla Suprema Corte di Cassazione la sentenza n. 16088/2020.

La sentenza della Suprema Corte di Cassazione

La Suprema Corte, con la sentenza n. 16088/2020, nonché folta e consolidata giurisprudenza, ha affermato che “non è vero che nel settore dell’indebito assistenziale non esista il principio di affidamento e che si applichi invece il principio generale di ripetizione dell’indebito stabilito dall’art. 2033 c.c..”  (Cfr. Tribunale di Palermo 21/01/2021; Cass. n. 28771/2018; Cass.n. 482/17; Cass. n. 25/2009; Cass. n. 3334/2005; Trib. Napoli Nord n. 8617/2017; Trib. Torre Annunziata del 04/04/2017; Trib. Torre Annunziata del 03-04-2017),

Il regime dell’indebito assistenziale assurge a ruolo di eccezione rispetto alla regola della ripetibilità propria del sistema civilistico e dell’art. 2033 c.c.

In generale, l’articolo 13 della legge 412/91 prevede che le somme non dovute, erogate dall’Inps, non debbano essere restituite, a meno che l’errore non sia attribuibile all’interessato. Al contrario, gli indebiti devono essere rimborsati all’Istituto nel caso in cui il pensionato sia a conoscenza di fatti, che possano modificare il suo diritto alla pensione o l’importo della stessa.

 

Avv. Silvana Vespa

Dipartimento legale Opera Ltb